Non-duality music remix (Non-dualità a ritmo di Jazz)

Simpatico remix musicale di messaggi sulla non-dualità, non-separazione, etc… L’accompagnamento musicale semplifica l’ascolto perché riduce la seriosità e la pseudo-resistenza dell’inconscio.

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I privilegi di essere 乙乇尺ㄖ

Trovarsi nei mie panni, cioè nei panni di nessuno, ha i suoi benefici.

Vediamoli:

  • Zero identità = non c’è il senso di essere qualcuno di particolare, e se sorge ha la stessa valenza di un peto. Quanta considerazione dai ai tuoi peti?

In un certo senso c’è un’altra opzione: fingere di essere chiunque pur sapendo di non essere nessuno di quei personaggi quotidiani.

  • Zero attivismo = non essendoci identificazione con un ridicolo personaggio sociale, non senti l’impellenza (civica, formale, burocratica) tipica dell’uomo comune. Gli inutili atti di perbenismo, finta cortesia, bon ton, retorica, formalità varie, finiscono tutti nel dimenticatoio. Potresti trattare un amico come un perfetto sconosciuto e viceversa: oppure potresti comportarti da straccione anche se sei un milionario o fare il milionario anche da straccione. Nel mio caso, te ne puoi sbattere persino del tuo atto di nascita, scartoffie varie, curriculum, etc.

  • Zero incantamento (o totale disincanto) = i tuoi organi sensoriali non riescono più a farsi stregare da nessuna forma, nessuna parola, nessun suono, nessuna apparenza esterna.

  • Zero preoccupazioni = per preoccuparsi di qualcosa in particolare bisogna essere qualcuno di particolare, oppure bisogna credersi il padrone/proprietario di ciò che ti preoccupa. Non puoi preoccuparti di qualcosa che non ti appartiene, non ti riguarda, non ti interessa. Questo vale per oggetti, persone, attività, relazioni. In questa condizione non si ha paura di perdere niente poiché non si possiede nulla. Al contempo, e qui sta il bello, pur non possedendo nulla si può usufruire di tutto.
  • Etc… Alcuni benefici sono tangibili altri intangibili (stati profondi di quiete, divina indifferenza, relax, spensieratezza).

E ovviamente il beneficio principale è il Risveglio dal sogno planetario, pur potendosi intrattenere con i fenomenali e ridicoli personaggi del sogno diurno.

P.S.

Se ci badate, alcuni benefici, letti superficialmente o con i criteri sociali dell’uomo comune, potrebbero costituire l’identikit di un criminale, un ladro, un folle, un mentecatto. Questo la dice lunga su come l’autorealizzazione può essere vista, considerata o percepita dal gregge umano. Dal loro punto di vista potreste essere una minaccia. E in effetti, agli occhi delle coscienze addormentate,  siete una minaccia; minacciate la loro finzione, la loro pseudo-realtà, le loro pseudo-sicurezze, la loro pseudo-felicità, le loro relazioni, le loro illusioni.

Dal punto di vista di chi vive in stato onirico/ipnotico/comatoso/catatonico, come l’uomo comune, il Risveglio è il nemico numero uno. Dunque siate felici di non avere tante pseudo-amicizie nel mondo dei sogni diurni. Siate contenti di essere il nemico numero uno delle coscienze addormentate: vuol dire che vi state muovendo nella giusta direzione.

E ricordate che alla fine i benefici (del Risveglio) superano i rischi (dello stato allucinatorio/ipnotico/comatoso/rincoglionitivo).

( ຊēr໐ )

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Più ti prendi sul serio, più la vita ti prende per i fondelli.

Più ti prendi sul serio, più la vita ti prende per i fondelli.

Più prendi sul serio il tuo ridicolo personaggio sociale, più diventi ridicolo.

Più prendi sul serio la società, più vieni preso per il culo dal circo mass-mediatico.

Più prendi sul serio il piccolo sé, meno vieni preso seriamente dall’Universo.

Più prendi sul serio ciò che non sei, più ti senti intimorito da ciò che sei.

Più prendi sul serio il senso dell’io, più ti senti preso per il culo dagli altri.

Più prendi sul serio le apparenze esterne, più le apparenze ti sembrano reali, minacciose, spaventose, intollerabili.

Più prendi sul serio il tuo ego, più la Realtà ti fa il culo.

Insomma, non prenderti troppo sul serio. Non sei così importante come credi.

E non prendere eccessivamente sul serio neppure gli altri. Loro non sono così importanti come credono.

(ZeRo)

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Il percorso spirituale spiegato facile facile



Il percorso spirituale spiegato ai principianti:
Scendere nel proprio inferno interiore
Salutare i propri demoni
Sorridergli
E infine lasciarseli tutti alle spalle.

Tutto qui.
Semplice no?

In pratica si tratta di fare amicizia con tutto ciò che ti mette a disagio, ti spaventa, ti spiazza, ti turba. In tal senso è curioso il fatto che in tibetano la parola “meditare” significa “familiarizzare”, prendere familiarità con l’inatteso, le sensazioni impreviste, l’indesiderato, l’ignoto.

In altre parole
La via d’uscita dalla sofferenza
È entrarci completamente
Rimanerci dentro, con destrezza e spietatezza
E superarla con saggezza e consapevolezza.

Una volta presa una certa dimestichezza con questa nuova attitudine e questo diverso approccio al disagio, potrai dire bye bye a tutta quella quantità di malessere, inquietudine, turbamento, che ti portavi dietro da anni.


Dai su, comincia subito a fare amicizia con i tuoi demoni, le tue paure, i tuoi disagi, le scomodità, le tue zone di non-comfort.

 

(ZeRo)

 

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PICCOLE ABITUDINI PER GRANDI CAMBIAMENTI – TRASFORMA LA TUA VITA UN PICCOLO PASSO PER VOLTA – James Clear – Consigli principali

Titolo originale: Atomic Habits. An Easy and Proven Way to Build Good Habits and Break Bad Ones

 

Un’abitudine è una routine o un comportamento che viene eseguito in modo regolare e, in molti casi, automatico. Semestre dopo semestre, accumulavo abitudini, piccole ma costanti, che alla fine hanno dato risultati all’inizio inimmaginabili.

È molto facile sopravvalutare l’importanza di un momento cruciale e sottovalutare i piccoli miglioramenti che si possono fare giorno dopo giorno. Troppo spesso ci convinciamo che grandi risultati richiedano grandi azioni: che si tratti di perdere peso, di avviare un’attività lavorativa, di scrivere un libro, di vincere un campionato o di raggiungere qualunque altro obiettivo, sottoponiamo noi stessi a una forte pressione per ottenere “lo sconvolgente miglioramento di cui tutti parleranno”.

Invece un miglioramento dell’1 per cento non è di particolare rilievo, certe volte non è nemmeno percepibile, ma può essere molto più significativo, specialmente nel lungo periodo. La differenza che un minuscolo cambiamento può fare nel corso del tempo è stupefacente. I conti sono presto fatti: se si riesce a migliorare dell’1 per cento ogni giorno per un anno, si finirà per essere trentasette volte migliori. Per contro, peggiorando dell’1 per cento per un anno si precipiterà fin quasi allo zero. Ciò che all’inizio è solo un piccolo traguardo o una minima battuta d’arresto si moltiplica in qualcosa di assai più grande.

Le abitudini sono l’interesse composto dell’automiglioramento. Esattamente come il denaro si moltiplica attraverso l’interesse composto, gli effetti delle abitudini si moltiplicano reiterandole. Sembrano fare pochissima differenza ogni giorno, eppure l’impatto che hanno nel corso dei mesi e degli anni può essere enorme. Solo quando ci si guarda indietro a distanza di due, cinque o magari dieci anni, il valore delle buone abitudini e il costo di quelle cattive si mostra in tutta la sua evidenza.

Può essere un concetto difficile da recepire nella vita di tutti i giorni. Spesso trascuriamo di fare piccoli cambiamenti perché non sembrano molto rilevanti sul momento. Se risparmiamo un po’ di denaro adesso, continuiamo comunque a non essere milionari; se andiamo in palestra tre giorni di seguito, continuiamo comunque a essere fuori forma; se stasera studiamo cinese per un’ora, continuiamo comunque a non sapere la lingua. Facciamo qualche cambiamento, ma i risultati sembrano non arrivare mai in breve tempo, e così ricadiamo nelle nostre abitudini precedenti.

1 per cento di miglioramento al giorno.

Gli effetti delle piccole abitudini vengono capitalizzati nel tempo. Per esempio, se riuscissimo a migliorare solo dell’1 per cento ogni giorno, ci ritroveremmo con risultati quasi trentasette volte migliori dopo un anno.

Purtroppo la lentezza della trasformazione fa sì che rischiamo di scivolare di nuovo nelle cattive abitudini. Se oggi consumiamo un pasto poco sano, la bilancia non si muoverà granché. Se stasera lavoriamo fino a tardi e trascuriamo la famiglia, ci perdoneranno. Se continuiamo a procrastinare e rimandiamo a domani un progetto, ci sarà comunque tempo per portarlo a termine. Una singola decisione è facile da ignorare.

Ma se ripetiamo un 1 per cento di errori giorno dopo giorno, reiterando le decisioni sbagliate, moltiplicando gli errori veniali e razionalizzando le scusanti, le nostre piccole scelte verranno capitalizzate trasformandosi in un risultato dannoso. È l’accumulo di tanti passi falsi – un 1 per cento in meno qua e là – che alla fine porta ad avere un problema.

Detto ciò, non ha nessuna importanza quanto successo abbiamo o non abbiamo in questo momento. La cosa importante è se le nostre abitudini ci stiano portando sulla strada del successo. Dovremmo preoccuparci molto di più della nostra attuale traiettoria invece che degli attuali risultati. Se siamo milionari ma spendiamo ogni mese più di quello che guadagniamo, allora la traiettoria è sbagliata: se non cambiamo le nostre abitudini di spesa andrà a finire male. Al contrario, se siamo al verde ma risparmiamo un po’ ogni mese, allora siamo sulla strada che porta all’indipendenza economica, anche se procediamo più lentamente di quanto vorremmo.

I risultati che otteniamo non sono indicatori attendibili delle nostre abitudini. Il saldo del conto in banca non è un indicatore attendibile delle nostre abitudini di spesa. Il peso sulla bilancia non è un indicatore attendibile delle nostre abitudini alimentari. Le cose che sappiamo non sono un indicatore attendibile delle nostre abitudini di studio. Il disordine in casa non è un indicatore attendibile delle nostre abitudini di pulizia. Si raccoglie ciò che si semina (ripetutamente).

Se vogliamo una previsione di dove ci porterà la vita, non dobbiamo fare altro che seguire la curva dei piccoli guadagni e delle piccole perdite, e vedere in tal modo quale sarà il risultato delle nostre scelte quotidiane tra dieci o vent’anni. Stiamo spendendo, mensilmente, meno di quello che guadagniamo? Riusciamo ad andare in palestra tutte le settimane? Leggiamo libri e impariamo qualcosa di nuovo ogni giorno? Piccolissime battaglie come queste sono quelle che definiscono chi saremo in futuro.

Il tempo enfatizza il confine tra successo e fallimento. Moltiplicherà qualunque cosa gli diamo in pasto. Le buone abitudini fanno del tempo il nostro alleato, quelle cattive ne fanno il nostro nemico.

Le abitudini sono un’arma a doppio taglio. Quelle cattive sono in grado di distruggerci con la stessa facilità con cui quelle buone possono farci crescere, ed ecco perché comprenderne i dettagli è fondamentale. Bisogna sapere come funzionano le abitudini e come programmarle a proprio piacimento, in modo da evitare il lato pericoloso della lama.

In cosa consiste davvero il progresso

Immaginiamo che ci sia un cubetto di ghiaccio sul tavolo davanti a noi. La stanza è fredda e il nostro respiro si condensa. La temperatura è di sette gradi sotto zero. Molto molto lentamente, la stanza comincia a riscaldarsi.

Meno sei gradi.

Meno cinque.

Meno quattro.

Il cubetto di ghiaccio è ancora lì sul tavolo davanti a noi.

Meno tre gradi.

Meno due.

Meno uno.

Continua a non succedere niente.

Poi, zero gradi. Il ghiaccio comincia a sciogliersi. Una variazione di un grado, apparentemente non dissimile dagli aumenti di temperatura precedenti, ha condotto a un enorme cambiamento.

I momenti di svolta sono spesso il risultato di molte azioni precedenti, che hanno costruito il potenziale richiesto per scatenare un cambiamento importante. Questo schema si ripresenta ovunque. Il cancro permane in uno stato non rilevabile per l’80 per cento della sua esistenza, poi prende il sopravvento sul corpo nel giro di qualche mese. Il bambù è quasi invisibile per i primi cinque anni, durante i quali espande un vasto sistema di radici sotto terra, per poi esplodere e crescere fino a un’altezza di trenta metri in sei settimane.

Allo stesso modo, le abitudini spesso non sembrano fare differenza finché non si supera una soglia critica, sbloccando un nuovo livello di prestazioni. Nella fase iniziale e centrale di qualunque impresa ci si ritrova spesso in una Valle della Delusione: ci si aspetta di fare progressi in modo lineare, ed è frustrante vedere quanto possono apparire inefficaci i cambiamenti nel corso dei primi giorni, settimane e anche mesi. Sembra di non andare da nessuna parte. È la caratteristica di qualunque processo di capitalizzazione: i risultati più eclatanti sono posticipati.

Questa è una delle ragioni fondamentali per cui è così difficile acquisire abitudini durature. Le persone apportano piccoli cambiamenti, non vedono risultati tangibili, e decidono di smettere. Pensano: “È un mese che vado a correre tutti i giorni, perché non vedo cambiamenti nel mio corpo?”. Quando questo genere di pensieri prende il sopravvento, è facile lasciar perdere le buone abitudini. Ma per poter fare una differenza significativa, le abitudini devono perdurare abbastanza da superare questo livello critico, quello che io definisco il “Livello del Potenziale Latente”.

Se ci accorgiamo di fare fatica a instaurare una buona abitudine o ad abbandonarne una cattiva, non è perché abbiamo perso la capacità di migliorare: spesso è perché non abbiamo ancora superato il Livello del Potenziale Latente. Lamentarsi di non aver ottenuto niente nonostante il duro lavoro è come lamentarsi del cubetto di ghiaccio che non si scioglie nonostante lo abbiamo riscaldato da -7 a -1 gradi. Il duro lavoro non è andato sprecato, ma tutto succederà a zero gradi.

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Komi non riesce a comunicare – e nemmeno tu (puoi dire l’indicibile)

L’altro giorno ho dato un’occhiata a “Komi Can’t Communicate”.

Senza fare lo spoiler, si tratta di un simpatico manga incentrato su una ragazzina che non riesce a comunicare come gli altri. La povera Komi ce le ha tutte: soffre di ansia sociale, paura di parlare in pubblico, balbuzie, etc.

Insomma le risulta impossibile dire ciò che prova, ciò che sente, ciò che percepisce.

Non riesce a parlare come gli altri, non riesce a comportarsi come gli altri, non riesce a interagire o relazionarsi verbalmente, e per questo viene sistematicamente fraintesa, esclusa, derisa, allontanata.

Gli altri, i “normali”, sarebbero i suoi compagni, quelli che riescono a comunicare con disinvoltura, chiacchierare, padroneggiare gli scioglilingua, parlare 5 lingue morte, etc.

Agli occhi di Komi, i normali, i sani, gli intelligenti, i bravi, i meritevoli sono quelli che sanno sempre quello che dicono.

Quella normale, sana, intelligente, speciale invece è Komi, ma lei non lo sa. Non sa che il suo non sapere è del tutto comprensibile. Non le hanno insegnato la distinzione tra falso sapere e conoscenza silenziosa; non conosce il demone della dialettica (come lo definiscono alcune tradizioni buddhiste).

Se ad esempio le avessero spiegato che gli altri, quelli che lei considera normali o speciali, sono posseduti dal demone della dialettica allora si sentirebbe meno a disagio, noterebbe che c’è qualcosa di malsano nel chiacchiericcio logorroico dell’uomo comune; riconoscerebbe che sotto sotto nascondono uno stato ansiogeno, un’insoddisfazione di fondo, un bisogno di riconoscimento, una dipendenza dal blablabla. Insomma riconoscerebbe che in fondo non stanno bene come dicono. Riconoscerebbe che il 99% di ciò che dicono è menzognero, non autentico, inventato, convenzionale. Vedrebbe la recita umana in tutta la sua tragicomicità.

Guarderebbe oltre il velo delle parole e non si farebbe ammaliare dal demone della dialettica.

Parafrasando Umberto Eco (Il pendolo di Foucault), direi a Komi:

«Komi, per loro, per i tuoi amici, tutto è una metafora, piena di segreti […] Sarebbe bastato che ti fossi fermata lì, all’indicibile. Che avessi scritto un libro bianco per spiegargli che il secretum secretorum non doveva più essere cercato, che la lettura della vita non celava alcun senso riposto, e che tutto era lì!

Lì, nell’indicibile».

Ma Komi è ancora una ragazzina, non è un iniziato o una monaca Zen, non punta (ancora) all’autorealizzazione, ed è giusto che alla sua età faccia tutte le esperienze che preferisce.

È giusto che senta quel disagio e che tenti di superarlo a modo suo – anzi nel modo degli altri. Poi si renderà conto che il modo (e il mondo) degli altri non funziona per conoscere se stessa. Quindi si riconcilierà con quello che ha sempre tentato di evitare: l’indicibile.

Riconoscerà che ciò che spingeva gli altri a parlare a vanvera era la paura fottuta dell’indicibile.

Parlano per pararsi il culo.

Più parlano a vanvera, più sono fifoni… fifoni del silenzio.

Dietro tutte le loro parole c’era soltanto la paura. La stessa paura che lei sentiva fin da bambina. Ma adesso impara a convivere con quella paura, sa che l’indicibile mondo interiore è un mistero da osservare con cura, rispettare, contemplare.

Ma questa Komi che sto descrivendo è quella che immagino se fosse mia figlia.

La Komi del manga è semplicemente timorosa di non avere abbastanza amici ed è afflitta dal non poter dire l’indicibile. Probabilmente ne è troppo consapevole, troppo preoccupata, troppo ansiosa, ma quella reazione è più che plausibile quando si realizzano le profondità dell’indicibile.

Le sensazioni, le percezioni, i sentimenti risultano indicibili, impossibili da tradurre a parole. E questo mistero la blocca, le produce un nodo alla gola, provoca dubbi e perplessità.

Lei sa – o intuisce – che le parole non possono tradurre nulla; non ne è del tutto consapevole e per questo ci rimane male, si sente afflitta, frustrata, delusa. Non sa che è sulla buona strada. Non ha incontrato nessuno che le dicesse:

“Komi, tranquilla, loro non sanno un cazzo… ciò che dicono non vale niente.

Non diventare come loro.

Non farti prendere dal panico.

Loro provano il tuo stesso disagio e cercano di coprirlo con un finto sapere; ripetono gli errori tramandati dai loro genitori, nonni, bisnonni… Coprono l’indicibile fingendo di sapere ciò che sentono, fingendo di conoscere gli altri, fingendo di sapere quello che percepiscono. Ma non sanno nulla della percezione. Non hanno la più pallida idea di cosa significhi davvero percepire, del come avviene tale processo, etc.

Komi, tu invece ti sei guardata dentro, hai scoperto qualcosa di indicibile; ti sei resa conto che la percezione non ha nulla di razionale, nulla di scontato, banale. Si tratta di qualcosa di talmente misterioso da averti ammutolito, e quella paralisi dell’intelletto è la reazione più naturale che possa emergere al contatto con quel mistero. Sei come una mistica prematura che ha accidentalmente avuto una visione. Sei una giovane mistica ad un passo dall’estasi.

Accidenti… Se solo sapessi contemplare quell’indicibile invece di denigrarlo con le puttanate che ti hanno insegnato a casa, a scuola, nella società.

Lascia perdere il public speaking, le diavolerie del marketing, il demone della dialettica.

Punta più in alto. Punta più in dentro. Punta più indietro.

Sii felice di essere in costante contatto con l’indicibile.

L’indicibile ti sta richiamando a Sé, ti vuole tutta per Lui…

Giovane Komi, lasciati sverginare dall’indicibile”.

Questo, più o meno, è quello che direi a mia figlia.  Magari eviterei il discorso sullo sverginamento, e mi soffermerei sul rapporto mistico/silenzioso/contemplativo con l’indicibile.

Probabilmente una ragazzina di 13 anni non sarebbe pronta per un discorso del genere. Tenterebbe di sbarazzarsi di quel fardello, cercherebbe di dimenticare le mie parole, si sforzerebbe di dimenticare l’intuizione dell’indicibile, e cercherebbe di adeguarsi al modus operandi del gregge umano. Cercherebbe di riempirsi la bocca di vocaboli inutili, di falso sapere, di pettegolezzi.

Poi magari, una volta che venisse accolta, accettata, ammirata dalle altre ragazzine, una volta che il suo ego smettesse di rompere i coglioni, una volta che il disagio sociale venisse disfatto, potrebbe dedicarsi seriamente a quel mistero e lasciarsi tranquillamente sverginare dall’indicibile.
(ZeRo)

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Siamo fottuti… Ma forse c’è ancora una speranza – M. Manson – spunti di riflessione

(riflessioni tratte da “Siamo fottuti… Ma forse c’è ancora una speranza – M. Manson”)

Al giorno d’oggi sembra che gran parte del mondo sia nella merda. Non al livello dell’Olocausto nazista (neanche lontanamente), ma comunque nella merda.

Se lavorassi da Starbucks, invece di scrivere sui bicchieri di carta il nome del cliente, scriverei quanto segue: Un giorno tu e chiunque ami morirete. E quello che dici e fai non avrà alcuna importanza, se non per un ristrettissimo numero di persone per un brevissimo lasso di tempo. È la Scomoda Verità della vita. Qualsiasi tua azione o pensiero non è altro che un escamotage per evitarla. Non siamo altro che insulsa polvere cosmica che ballonzola e girovaga in un minuscolo puntino blu. Ci crediamo importanti. Ci immaginiamo scopi. Ma siamo insignificanti. Goditi il tuo cazzo di caffè.

Ma sul serio, in tutta coscienza, come si fa ad augurare a qualcuno una buona giornata, sapendo che ogni pensiero e motivazione che ha nasce dal bisogno incessante di evitare l’insensatezza dell’esistenza umana?

Nell’infinità dello spazio-tempo, l’universo se ne frega se l’operazione all’anca di tua madre va bene, se i tuoi figli vanno all’università o se secondo il tuo capo hai creato un foglio di calcolo da paura. Se ne frega se a vincere le presidenziali sono i democratici o i repubblicani. Se ne frega se un personaggio famoso viene paparazzato a sniffare coca mentre si spara una sega nel bagno dell’aeroporto (di nuovo). Se ne frega se le foreste bruciano, i ghiacciai si sciolgono, il livello del mare si alza, se le temperature si fanno roventi o veniamo polverizzati da una superiore razza aliena. Importa a te. Importa a te e ti affanni ad autoconvincerti che, siccome ti importa, dev’esserci per forza un qualche grande significato cosmico dietro.

Se ti importa è perché sotto sotto hai bisogno di sentirti importante per scansare la Scomoda Verità, per scansare l’incomprensibilità della tua esistenza, per evitare di venire schiacciato dal peso della tua insulsaggine materiale. Allora, come me e chiunque altro, proietti quest’immaginaria parvenza di senso sul mondo che ti circonda per infonderti speranza.

Troppo presto per un discorsone del genere?

Ecco un altro caffè. Ti ho fatto pure una faccina sorridente sulla schiuma. Non è carina? Aspetto che la posti su Instagram. Okay, dove eravamo rimasti? Ah, sì! L’incomprensibilità dell’esistenza… Giusto.

Ora, probabilmente starai pensando: “Be’, Mark, secondo me siamo tutti al mondo per un motivo, nulla accade per caso, e chiunque è importante perché le nostre azioni condizionano qualcuno, e se possiamo aiutare anche una sola persona ne vale la pena, no?”.

Che tenerone che sei! Vedi, a parlare è la tua speranza. È una storiella costruita dalla tua mente per darti un motivo per svegliarti al mattino: qualcosa deve pur importare, perché se nulla importa non c’è motivo di continuare a vivere. E una qualche forma di altruismo o attenuazione delle sofferenze è sempre un ottimo stimolo per darci la sensazione che valga la pena di fare qualcosa.

Per andare avanti, alla nostra psiche serve speranza quanto l’acqua a un pesce. La speranza è il carburante per il nostro motore mentale. È il burro sulla fetta biscottata. È una caterva di metafore scontate. Senza la speranza, il nostro propulsore mentale si ingolfa o si spegne.

È la Scomoda Verità, la silente presa di coscienza che, rispetto all’infinito, qualunque cosa a cui potremmo tenere rasenta lo zero.

Ogni volta che affrontiamo un’avversità, la nostra psiche costruisce storielle simili, racconti sul passato e sul futuro che ci inventiamo a nostro uso e consumo. E queste storie di speranza sono da alimentare continuamente, anche se diventano assurde o deleterie, perché sono l’unica forza stabilizzante che protegge la nostra mente dalla Scomoda Verità.

Sono questi racconti di speranza a darci la sensazione di avere uno scopo nella vita. Non implicano soltanto che il futuro ci riserverà davvero qualcosa di meglio, ma pure che possiamo combinare qualcosa nella vita. Quando qualcuno parla e straparla del suo bisogno di trovare «uno scopo nella vita», significa che non vede più cosa conta, come impiegare bene il tempo limitato che ha a disposizione su questo pianeta.

Non è necessario che le storie che ci inventiamo siano di stampo religioso. Possono essere di qualunque tipo. Questo libro è la mia piccola fonte di speranza. Mi dà uno scopo, mi dà un senso. E la storia di speranza che mi sono creato è che secondo me questo libro potrebbe aiutare qualcuno, potrebbe migliorare un pochino sia la mia vita che il mondo.

Ne ho la certezza assoluta? No. Ma è la mia storia prima/dopo, e mi ci aggrappo con tutte le forze. È il motivo per cui mi alzo al mattino e sono felice della vita che ho. E non è una cosa brutta, anzi, è l’unica cosa che conta. Per certe persone la storia prima/dopo è tirare su bene i propri figli. Per altre è salvare il pianeta. Per altre è fare soldi a palate e comprarsi una barca megagalattica. Per altre ancora è semplicemente migliorare a golf. Per un motivo o per l’altro, consapevole o no, ciascuno di noi ha scelto di credere a una storia. Non importa se trovi speranza tramite la fede religiosa, una teoria empirica, un’intuizione o una tesi ponderata… il risultato è lo stesso: sei in qualche modo convinto che (a) c’è un margine di crescita, di miglioramento o di salvezza nel futuro; e (b) in qualche modo possiamo raggiungerlo. Punto. Giorno dopo giorno, anno dopo anno, la nostra vita si costruisce tramite queste storie di speranza che si accumulano all’infinito. Sono la carota psicologica che penzola del bastone. Se ti pare un discorso nichilista, per favore, non farti un’idea sbagliata. Continua a leggere Siamo fottuti… Ma forse c’è ancora una speranza – M. Manson – spunti di riflessione

Bungee Jumping Cosmico

Il legame alla Sorgente è inscindibile.

Ma mentre ti trovi in questa dimensione ti sei dimenticato della tua perenne connessione al Regno.

Gli attaccamenti affettivi, emotivi, sentimentali sono come un peso che ti impedisce di lasciarti catapultare indietro, verso la Sorgente.

Le avversità esterne non sono il vero impedimento al ricongiungimento.

Il vero ostacolo sono i tuoi attaccamenti emotivi.

La vita è un tuffo in questa dimensione.

La morte è il contraccolpo nella direzione della Sorgente.

Molte coscienze faticano a rimbalzare da questa dimensione alla Sorgente perché si sono identificate eccessivamente con il contenitore carnale, sono rimaste intubate nel clone terrestre.

Un altro problema è che molte coscienze considerano questa dimensione come la loro unica, vera, originale Casa, di conseguenza hanno paura di abbandonare questa dimensione.

In terzo luogo sono troppo attratte dalle apparenze esterne, vorrebbero dimorare esclusivamente nel mondo delle apparenze.

Allora cosa fare?

Innanzitutto accorgersi subito – nella vita quotidiana – che esiste il cordone indissolubile che ci lega alla Sorgente.

Per qualcuno il cordone può essere rappresentato dallo Spirito Santo, per altri può essere la Grazia o l’Amore Divino, per altri ancora la Pura Consapevolezza.

Questo legame ci ha consentito non solo di lanciarci in questa dimensione ma ci consente anche di ritornare (in qualsiasi momento) alla Sorgente.

Questo laccio divino è proprio come l’elastico del bungee-jumping: a un certo punto dell’estensione, dopo aver superato una certa quota, l’elastico ti trascinerà spontaneamente verso l’Origine.

Tu non dovresti fare praticamente nulla.

Sarà l’energia cinetica stessa a spingerti verso la Sorgente.

Non ci sono eccezioni.

Il laccio non si può rompere; non è una patacca made in Cina; non è un artefatto dell’uomo, quindi non è defettibile come i prodotti umani.

Se la connessione è indissolubile e il meccanismo è impeccabile, cosa può andare storto?

L’unica cosa che può intralciare il processo è la tempistica.

Non è un grosso problema, ma a volte può essere piuttosto irritante.

Ma questo imprevisto non dipende dal processo in sé, bensì dipende da noi.

Se rimaniamo troppo attaccati a questa dimensione è ovvio che ci sia un ritardo nel completamento del processo.

È come se dopo il lancio dal ponte ci aggrappassimo ad un ramo per paura del rinculo oppure perché ci siamo affezionati al posto in cui siamo finiti.

I buddhisti semplificano mettendola in termini di desiderio (attaccamento al piano sensoriale) o di repulsione (paura di abbandonare ciò che è familiare).

Il rimedio consiste nel ricordarsi che siamo connessi alla Sorgente.

Se ci fidiamo della connessione possiamo lasciare andare un attaccamento dopo l’altro e goderci la seconda fase del nostro viaggio.

Se non ci complichiamo troppo la vita, il movimento interiore verso la Sorgente sarà gradevole, leggero, quasi impercettibile. Affinché il movimento elastico avvenga in modo naturale dovremo imparare a lasciar andare l’intero corpo e tutto ciò che ha a che fare con il livello carnale (dipendenze, tentazioni, capricci, timori sociali, preoccupazioni materiali).

E se facciamo fatica a lasciarci andare?

Niente di grave.

In tal caso stiamo solo rallentando un processo inevitabile. Anziché viaggiare a 100 all’ora, viaggeremo più lentamente. Il problema è che se rimaniamo troppo attaccati potremmo produrre una dose eccessiva di sofferenza inutile e una serie interminabile di dispiaceri che si potevano tranquillamente evitare.

(ZeRo)

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La sottile arte di fare quello che cazzo ti pare (Mark Manson) – Spunti di riflessione + Audiolibro gratuito

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Una raccolta di messaggi stimolanti dal libro di M. Manson (La sottile arte di fare quello che cazzo ti pare).

Ti sei mai accorto che a volte quando qualcosa t’importa di meno, ti riesce meglio?

Hai mai notato che spesso è la persona meno coinvolta emotivamente nel successo di qualcosa che finisce per ottenerlo?

Che a volte quando smetti di sbatterti, tutto sembra andare a posto?

[…]

Ai tempi dei nostri nonni, se uno si sentiva di merda pensava tra sé: “Perdinci, oggi mi sento proprio una cacca di mucca. Ma, ehi, dev’essere la vita. Torniamo a spalare il fieno”. Ma adesso? Adesso se senti che la tua vita è una merda anche solo per cinque minuti, sei bombardato da trecentocinquanta immagini di persone strafelici e impegnate a vivere le loro vite fantastiche, ed è impossibile non avere la sensazione che ci sia qualcosa che non va in te. È quest’ultima parte a metterci nei guai. Cosa c’è in me che non va?

Per questo sbattersene è fondamentale. Per questo salverà il mondo. E lo farà accettando che il mondo è completamente fottuto e che va bene così, perché così è sempre stato e sempre sarà.

Sbattendotene del fatto che ti senti male, mandi il Ciclo di Risposta Infernale in cortocircuito; ti dici: «Sto di merda, ma chi se ne fotte?».

E poi smetti di odiarti per il fatto che ti senti male.

George Orwell diceva che vedere cos’abbiamo davanti al naso richiede uno sforzo costante. Be’, la soluzione al nostro stress e alla nostra ansia è proprio lì, davanti al nostro naso, e noi siamo troppo impegnati a guardare porno e annunci di apparecchi per addominali che non funzionano, chiedendoci perché non ci stiamo scopando una strafiga bionda con una tartaruga da sogno, per accorgercene.

La nostra crisi non è più materiale; è esistenziale, spirituale. Abbiamo così tanta roba e così tante opportunità che non sappiamo neanche più a cosa dare importanza.

Poiché possiamo vedere o conoscere una quantità infinita di cose, c’è anche un numero infinito di modi in cui possiamo scoprire che siamo inadeguati, che non siamo abbastanza bravi, che le cose non sono fantastiche come potrebbero essere. E questo ci strazia interiormente.

Perché è questo il problema di tutte le stronzate sul “Come Essere Felici” con otto milioni di condivisioni su Facebook degli ultimi anni – quello che nessuno capisce di tutta questa storia:

Desiderare un’esperienza più positiva è di per sé un’esperienza negativa. E, paradossalmente, accettare la propria esperienza negativa è di per sé un’esperienza positiva.

È questo che intendeva il filosofo Alan Watts con il nome di “Legge d’inversione” – l’idea che più ti sforzi di stare continuamente bene, meno sarai soddisfatto, come se inseguire qualcosa non facesse che rinforzare la consapevolezza della sua mancanza.

Quanto più disperatamente desideri essere ricco, tanto più ti sentirai povero e immeritevole, a prescindere da quali siano effettivamente i tuoi guadagni. Quanto più vuoi essere attraente e desiderato, tanto più inizi a vederti brutto, a prescindere dal tuo effettivo aspetto fisico.

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L’aspetto interessante della legge d’inversione è che ha questo nome per un buon motivo: lo sbattimento funziona al contrario. Se inseguire il positivo è negativo, allora inseguire il negativo genera il positivo. Il dolore che insegui in palestra ti dà come risultato generale più salute ed energia. I fallimenti negli affari sono ciò che ti porta a comprendere meglio che cosa è necessario per avere successo. Ammettere apertamente le tue insicurezze ti rende paradossalmente più sicuro di te e più carismatico agli occhi degli altri.

ella vita tutto ciò che conta si conquista superando l’esperienza negativa a esso correlata. Ogni tentativo di sfuggire al negativo, di evitarlo o soffocarlo o silenziarlo, ci si ritorce solo contro. Evitare la sofferenza è una forma di sofferenza. Evitare lo sforzo è uno sforzo. Negare il fallimento è un fallimento. Nascondere una cosa vergognosa è di per sé una forma di vergogna.

Non si può districare il dolore dalla trama della vita, ed estirparlo è non solo impossibile ma distruttivo: disfa anche tutto il resto. Cercare di evitare il dolore significa dargli troppa importanza. Al contrario, se riesci a sbattertene, diventi inarrestabile.

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La maggior parte di noi affronta la vita dando troppa importanza a situazioni che non se la meritano. Diamo troppa importanza al benzinaio maleducato che ci ha dato il resto in monetine da un centesimo. Diamo troppa importanza a quando i nostri colleghi non si prendono il disturbo di farci domande sul nostro weekend strepitoso.

Nel frattempo, le nostre carte di credito sono esaurite, il nostro cane ci odia e Junior sta sniffando metadone nel bagno, eppure noi siamo incazzati per le monetine da un centesimo.

Guarda, funziona così. Un giorno morirai. So che è evidente, ma volevo ricordartelo nel caso te ne fossi scordato. Tu e tutti quelli che conosci moriranno presto. E nel poco tempo che ci separa da quel momento, hai un numero limitato di energie da investire. Molto poche, in effetti. E se continui a dare importanza a tutto e tutti senza un pensiero o una scelta cosciente – be’, allora sei fottuto.

C’è un’arte sottile nello sbattersene. E anche se il concetto può risultare ridicolo e io posso sembrare uno stronzo, sto parlando essenzialmente d’imparare a concentrarti e dare una priorità efficace ai tuoi pensieri – imparare a scegliere ciò che t’importa e ciò che non t’importa sulla base di valori personali finemente perfezionati. La cosa è incredibilmente difficile. Per riuscirci è necessaria un’intera vita di disciplina ed esercizio. E fallirai regolarmente. Ma è forse lo sforzo più degno che uno possa intraprendere nella propria esistenza.

Perché quando ti sbatti troppo indiscriminatamente – quando dai importanza a tutto e tutti – hai la perpetua sensazione di meritare di essere sempre felice e a tuo agio, che tutto debba essere esattamente come vuoi tu. È una malattia, questa. E ti divorerà vivo. Vedrai ogni avversità come un’ingiustizia, ogni sfida come un fallimento, ogni inconveniente come un’offesa personale, ogni discussione come un tradimento. Sarai confinato nell’inferno patetico del tuo cervello, bruciando di narcisismo e spacconate, girando a vuoto nel tuo personale Ciclo di Risposta Infernale, sempre in movimento ma senza arrivare mai da nessuna parte.

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Che cosa significa sbattersene?

Diamo un’occhiata a tre “sottigliezze” che dovrebbero aiutarci a chiarire la questione.

Sottigliezza #1: Sbattersene non significa essere indifferenti; significa sentirsi a proprio agio con la propria diversità.

Non puoi essere una presenza importante e determinante per alcuni senza essere anche una barzelletta e un imbarazzo per altri. È semplicemente impossibile. Perché non c’è nulla di simile all’assenza di avversità.

Sottigliezza #2: Per sbattertene delle avversità, devi prima dare valore a qualcosa di più importante.

Sottigliezza #3: Che tu te ne renda conto o no, scegli sempre per cosa sbatterti.

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Per me l’illuminazione pratica consiste nel cominciare ad accettare l’idea che un po’ di sofferenza è sempre inevitabile – che qualunque cosa tu faccia, la vita è costituita di fallimenti, perdite, rimpianti e anche morte. Perché una volta che inizi a sentirti a tuo agio con la merda che la vita ti tira addosso (e te ne tirerà tanta, fidati), diventi invincibile a livello spirituale.

A questo libro non frega niente di alleviare i tuoi problemi o il tuo dolore. E proprio per questo motivo saprai che è onesto.

Al contrario, questo libro trasformerà il tuo dolore in uno strumento, il tuo trauma in potere e i tuoi problemi in problemi leggermente migliori.

Questo libro non t’insegnerà a ottenere o guadagnare qualcosa, ma piuttosto a perdere e lasciar andare. T’insegnerà a fare l’inventario della tua vita e a liberarti di tutto tranne che delle cose più importanti. T’insegnerà a chiudere gli occhi e confidare nel fatto che puoi cadere all’indietro ed essere comunque okay. T’insegnerà a sbatterti di meno.

[…] Continua a leggere La sottile arte di fare quello che cazzo ti pare (Mark Manson) – Spunti di riflessione + Audiolibro gratuito

Quanto costa l’autorealizzazione? Te la puoi permettere?

Un giorno Papaji prese un taxi per recarsi al suo Ashram.

Il taxista lo riconobbe e gli chiese: “Signor Papaji, mi hanno detto che lei è un autorealizzato. Mi può dire allora come contattare Brahman (Dio)?”

Papaji rispose: “Ci tieni davvero a contattare il Divino?”

“Sì, moltissimo. Per me è la cosa più importante che ci sia.” – replicò il taxista.

Papaji: “Supponiamo che il Divino chieda qualcosa in cambio: cosa saresti disposto a donare?”

Taxista: “Beh, sono un uomo benestante e presto erediterò una grossa somma di denaro. Potrei donare un decimo della mia eredità.”

Papaji: “E questa la chiami dedizione? Prima dici che la conoscenza di Dio è la cosa più importante che desideri, e poi dici che sei disposto a donare solo una piccolissima parte della tua eredità per Dio. Vedi, questo è il problema. Con quei soldi saresti disposto a fare qualsiasi cosa, anche a sperperarli in qualche inutile oggetto di lusso. Ma se ti venisse offerta l’occasione di riconoscere il Divino, offriresti poco o niente. Questo la dice lunga sul tuo autentico desiderio. Ovviamente Brahman non desidera la tua eredità. La mia domanda era un modo per dimostrare che nel tuo cuore c’è più spazio per l’eredità, per i beni materiali, che per l’Assoluto”

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Questa storiella su Papaji, cari lettori, potrebbe riguardare uno qualsiasi di voi.

Ognuno, nel suo cuore, cerca qualcosa di speciale che dia pienezza alla propria vita. Alcuni lo cercano con i piaceri carnali, altri con il lavoro, altri con i divertimenti, altri con le droghe, altri ancora con la spiritualità.

Un Corso in Miracoli chiede: “Di cosa fai tesoro? E quanto ne fai tesoro?”

Tutti cercano a modo loro quel qualcosa di speciale, ma quando si avvicina la resa dei conti molti si tirano indietro, negano la loro disponibilità.

Nei fatti, la maggioranza non è disposta a rinunciare neppure ai più miseri capricci del loro ego. figuriamoci se in quella condizione possono auspicare all’autorealizzazione.

L’autorealizzazione è un lusso che il vostro spilorcio ego non si potrà mai permettere.

Se fossi stato al posto di Papaji avrei chiesto al taxista: “Sei disposto a donare il tuo io?”

E lui avrebbe probabilmente risposto: “Donare me stesso?”

E avrei replicato: “Si te stesso, la tua vita, la tua volontà personale.”

A quel punto, come è normale che sia,  all’idea di dover rinunciare alla propria vita si sarebbe cagato sotto e avrebbe fatto retromarcia.

Ovviamente io mi riferivo alla vita di ciò che credete di essere, perché è solo a quello che dovreste rinunciare. Ma come ho già scritto, questa rinuncia è un lusso che la vostra mente non è neppure in grado di concepire. La vostra mente non si può permettere quello che cercate veramente.

Lasciate perdere e forse avrete maggiori chance di incappare casualmente in quel lusso ultraterreno…

(ZeRo)

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