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I cinque strati dell’«inconscio»
In una lezione tenuta il 7 aprile 1973, Assagioli ci ricorda che “inconscio, cosciente sono ‘aggettivi’, sono cioè condizioni temporanee di un fatto psichico”. Questo va tenuto ben presente quando si cerca di comprendere la distinzione assagioliana tra inconscio inferiore, medio, superiore e collettivo. Al di là dell’accettazione o meno di questa terminologia assagioliana, è bene rimarcare che l’inconscio non è una sostanza, un’entità! É solo ciò con cui non siamo in contatto, qui e ora.
Cerchiamo di osservare i vari strati inconsci, penetrando profondità sempre maggiori.
Senz’altro lo strato più superficiale è rappresentato dal cosiddetto «preconscio», vale a dire tutto ciò di cui possiamo facilmente essere consapevoli ponendovi una certa attenzione. Ad esempio, quando è il momento, posso ricordarmi facilmente il mio indirizzo abitativo, che, normalmente, mi è inconscio. Come potremmo mai essere continuamente consapevole di tutte le nozioni e i ricordi della nostra esistenza? La mente andrebbe sicuramente in tilt.
Ad un livello appena un po’ più profondo vi è l’«inconscio comportamentale», cioè la maschera, i modi di fare e i comportamenti relazionali con i quali ci esibiamo al mondo e di cui siamo abitualmente inconsapevoli. Ciò costituisce una serie di tratti che costituiscono la struttura del nostro carattere, uno schema rigido e fissato fin dalla fanciullezza. Il carattere costituisce il nostro meccanismo difensivo per eccellenza, cioè il modo in cui poniamo una barriera fra noi e il mondo in modo da non sentirsi vulnerabili o indegni di amore.
É ovvio come siamo in grande difficoltà a diventare consapevoli di questa struttura (anche quando ad un occhio esterno sia perfettamente visibile), perché riconoscerla vorrebbe dire mettere in discussione ciò su cui fondiamo l’intera nostra vita relazionale e sociale… perderemmo improvvisamente il terreno sotto i piedi e dovremmo affrontare aspetti di noi che non abbiamo mai avuto il coraggio di affrontare.
IL DISCORSO TIPICO DELLO SCHIAVO
… Il vero schiavo difende il padrone, mica lo combatte. Perché lo schiavo non è tanto quello che ha la catena al piede quanto quello che non è più capace di immaginarsi la libertà.
(Silvano Agosti)
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