Quante volte vuoi ripetere il ciclo del samsara? Quanto a lungo vuoi farti schiavizzare dal sistema?

 

Supponiamo che vi venga data la possibilità di non ripetere un errore, non rivivere un incubo, non subire un torto, non risperimentare un disagio, non riprodurre un trauma.

Rifiutare quella possibilità sarebbe come rifiutare il paradiso, la pace, la tranquillità, l’assenza di problemi, l’assenza di sofferenza inutile.

Il samsara consiste proprio nel non accorgersi di quella possibilità e nel ripetere un loop interminabile di problemi fittizi, difficoltà inutili, conflitti, traumi, litigi, dibattiti insensati.

L’autorealizzazione invece consiste nel realizzare quella possibilità non per sentito dire ma per esperienza diretta.

Nel corso della vostra esistenza vi vengono dati diversi indizi sull’esistenza di quella possibilità, la possibilità di non farsi travolgere passivamente e incessantemente dal ciclo del samsara.

Alcune tradizioni la mettono in termini di rinascita, reincarnazione, metempsicosi, bardo, etc… Tuttavia chi non ha dimestichezza con quella terminologia (e quella percezione) non può comprendere la portata di quel messaggio, per cui occorre chiarire i termini.

Il ciclo del samsara può essere semplificato e riformulato come un maledetto ciclo di sofferenze inutili, afflizioni, tormenti, disgrazie, traumi, sfighe, avversità.

Un altro elemento che caratterizza il ciclo del samsara è il senso di incompletezza. Quando il senso di incompletezza (mancanza, perdita, sfortuna) sembra intenso è come se foste completamente risucchiati dal samsara.

Se il senso di incompletezza corrisponde al samsara (o a un aspetto del samsara), allora la fine del senso di incompletezza corrisponde alla cessazione del samsara.

L’autorealizzazione è per l’appunto la cessazione di quel senso di incompletezza e dunque rappresenta la fine del samsara.

Come al solito per comprendersi meglio conviene semplificare il discorso.

Supponiamo che il ciclo del samsara si ripeta finché non raggiungete una completa maturità interiore. Per convenzione possiamo chiamarla maturità coscienziale, spirituale, trascendentale, metafisica. La definizione non importa, l’importante è quel grado di maturità che porta alla percezione di un misterioso senso di completezza. Con quella completezza il vostro essere ha concluso il proprio ciclo e finalmente si sente appagato semplicemente nel proprio essere e per il proprio essere. Non si sente appagato per una causa esterna, per un complimento, per un guadagno materiale, per un credito virtuale, per un privilegio sentimentale, per una conferma sociale, per un vantaggio psicologico.

Un essere del genere non può percepire l’incompletezza: non può essere convinto della propria incompletezza o dell’incompletezza altrui.

In termini esistenziali è come se avesse raggiunto l’apice del proprio processo evolutivo.

Chi arriva là si accorge che per lui o per lei il ciclo del samsara può continuare solo in apparenza.  L’essere autorealizzato si accorge di aver avuto accesso a una inspiegabile, misteriosa, miracolosa, incredibile possibilità. Si rende conto che quella possibilità esiste anche nella peggiore delle situazioni. Si accorge che quell’evento può avvenire in qualunque momento e può essere brusco e istantaneo come il risveglio dai sogni notturni.

E’ la porta finale del Truman Show, è l’anomalia di Matrix, è l’entrata (e l’uscita) dalla tana del bianconiglio, è il Gateless Gate dello Zen, lo Stream-entry buddhista, l’emancipazione dal bardo, è l’esaurimento del karma personale, è la morte in vita.

Non è una cosa che puoi spiegare con la logica della mente ordinaria: lo si può solo intuire con il giusto grado di maturità, lucidità e disincanto.

Una cosa è certa, quella possibilità – l’autorealizzazione, il senso di completezza – è l’unica cosa a cui dovrebbe aspirare un essere senziente.

Quando quella possibilità diventerà un dato di fatto vi rammaricherete soltanto del tempo speso ignorando bovinamente quella magica possibilità.

(ZeRo)

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