Un sannyasin al mare, L’arte di non arrabbiarsi e il vangelo di ZeRo

Mentre scrivo mi trovo in un ristorante sul lungomare dove si è appena fermato un tizio vestito da sannyasin (rinunciante indiano) con in mano dei libri.

Mi propose “l’arte di non arrabbiarsi”. Dato che l’antipasto non era ancora arrivato, e visto che mi piace provocare i discepolli, feci finta di essere interessato all’argomento.

Gli chiesi se li avesse scritti lui e mi rispose no. Si trattava di messaggi preziosi scritti dal suo caro maestro. Fintamente incuriosito, gli chiesi se il suo guru era vivo o morto. Lui mi ha fatto subito una correzione prevedibile: la mia domanda era mal posta perché il suo maestro non era morto ma aveva soltanto lasciato il corpo alla fine degli anni settanta.

Quella correzione fu più che sufficiente per confermare il mio sospetto: si trattava effettivamente di un discepollo.

Intenerito dai suoi occhioni spirituali (modo velato per dire occhi da triglia), mi venne voglia di fargli un favore e rompergli qualche incantesimo, ma date le premesse, il contesto e il profumo di cozze, decisi di lasciare perdere ogni tentativo di dissuasione.

Volevo dargli qualche dritta ma avendo intuito l’atteggiamento tipico da testimone di Genova in stile indù, ho preferito tagliare corto e svelargli che io faccio lo stesso mestiere del suo guru, trasmetto messaggi preziosi anche sotto forma di libri.

Li per li mi ha guardato un po’ storto, come se avessi osato paragonarmi al suo guru: forse l’ha percepita come una insolenza da gradasso e per mettermi in riga mi ha esposto qualche pregio del suo maestro.

Naturalmente ho cordialmente rifiutato la sua offerta, anche se in realtà avrei voluto controbattere con una controfferta irrinunciabile, il disincanto, ma la fame ha avuto la meglio sulla fama e l’antipasto di pesce era molto più importante di quel potenziale seguace.

Al mio rifiuto mi ha risposto – sorridendo – che non sapevo cosa mi stavo perdendo non leggendo i libri del suo sacro, amato, divino maestro.

Peccato che sia finita così, ma la mia priorità in quel momento non era quel giovane aspirante santone ma il piatto fumante di cozze alla tarantina che richiamava tutta la mia attenzione.

Mentre gustavo quelle cozze pensavo alle possibili scelte alternative che avrei potuto fare o al modo in cui quell’incontro sarebbe potuto andare.

Avrei potuto sfoggiare il metodo zero. Invece dell’arte di non arrabbiarsi avrei potuto insegnargli l’arte di azzerare la propria testa di cazzo, ma credo che quello non fosse l’approccio e il momento ideale, soprattutto in un ristorante.

In alternativa avrei potuto convertire quel sannyasin in un essere disincantato. Da pseudo-rinunciante (o rinunciante parziale) a rinunciante totale. Gli avrei insegnato a rinunciare non solo al suo irrinunciabile guru ma all’intero mondo delle apparenze. Ma probabilmente una coscienza troppo incantata non può passare così facilmente e rapidamente verso il disincanto.

L’ultima e migliore alternativa era quella di assumere quel ridicolo personaggio come promotore del mio materiale. Mi farebbe comodo un individuo talmente volenteroso da partire dall’Umbria, arrivare a Cervia, andare in giro per le spiagge e – invece di gridare “cocco bello” – promuovere il mio materiale gridando “disincanto, rottura incantesimi, ripartenza da zero, azzeramento teste di cazzo”.

P.S.

Se tra i lettori c’è qualche rinunciante disposto a lasciare tutto per seguire un nuovo guru e promuovere ovunque questi preziosi messaggi mi può mandare un’email, cosi ci organizziamo per diffondere il vangelo secondo Zero.

Sono preferibili belle presenze, possibilmente sotto i 40 anni.

ZeRo:

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